IL CARTOMANTE

IL BAGATTO – L’EREMITA – LA MORTE

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Il bagatto è la prima delle 22 lame (altrettante sono le lettere dell’alfabeto ebraico) e rappresenta il prestigiatore, dotato di bacchetta magica, intento al tavolo della propria arte. Il bagatto è l’uomo ermetico che vuole trasformare la realtà, così come il franco muratore vuole trasformare se stesso sgrossando la pietra (metaforica rappresentazione dell’uomo), sino a renderla cubica, pronta a far parte dell’alzato della Cattedrale. Spesso si è soliti sottolineare la valenza magica insita in ogni rito, in ogni  cerimonia. Magia, nella radice greca del termine, è legata al verbo massein, cioè impastare, manipolare, plasmare con le mani. L’ekmaghion era la statuetta di cera modellata che rappresenta il feticcio. Il significato, dunque, è alquanto palese. In ogni rito iniziatico si ripropone una ricorrenza mistica, l’antico evento dell’uomo trasmutatore che è capace di  trasformare il grano in pane, le olive in olio, l’uva in vino, le parole in poesia, i colori in pittura, i suoni in note musicali e armonia. Così, simbolicamente, l’uomo riesce a trasformare se stesso.

L’eremita, Diogene che cerca l’uomo ermetico, raffigurato come un viandante, è l’uomo con la lanterna che cerca il proprio cammino iniziatico. E cosa risponde il bussante a chi gli chiede cosa sia venuto a cercare? “La luce”. Tutti sono alla ricerca di un bagliore che rischiari il nostro percorso; altrimenti, come i ciechi di Bruegel il Vecchio, che appoggiandosi ad altri ciechi, ruzzolano a terra, anche noi finiremmo fuori strada. Ciascuno di noi avvicini la propria lanterna a quella del pellegrino che gli è accanto, affinché sia illuminata la direzione comune.

La tredicesima lama dei Tarocchi raffigura la Morte. E’ l’unico dei 22 Arcani maggiori a non avere intestazione. Siamo noi che riconosciamo nella sua icastica la morte. Nel percorso muratorio la simbologia legata al tema della morte è ricorrente. Nel gabinetto di riflessione il bussante è chiamato a stilare il proprio testamento, antefatto necessario alla dipartita dal mondo profano. Ma in chiave iniziatica la morte è vista come rigenerazione, preliminare alla rinascita.

In questa carta altri simboli sono significativi. Ai piedi della morte sono sparse parti smembrate di cadavere. Rievocano la leggenda di Osiride, fatto a pezzi dal fratello Set. E’ Iside che con premurosa misericordia riesce a ricomporre il corpo dello sposo e fratello e a ridargli la vita. Iside è una divinità che ci è cara, una Vedova che ci è familiare. E infine un ricordo più lieve del fratello De Curtis, in arte Totò, che nella sua celebre poesia La livella, spiega come la morte fisica sia la grande parificatrice, l’evento che azzera le differenze di classe e di censo. Gli appartenenti alla libera muratoria si chiamano fra di loro fratelli, indipendentemente dall’età anagrafica, dalle inclinazioni personali, dalle tendenze politiche, dalle attività professionali. Ma la morte di cui parliamo non è, naturalmente, la morte fisica. Sottile, cioè sub tela, è il significato che qui si vuole leggere in filigrana. Tutto ciò che nasce e vive, intorno a noi, è destinato, prima o poi, ad estinguersi, dal vaso che ci era caro sino alla illustre Tebe dalle cento porte.

L’attaccamento alle cose, ai metalli è vanità, bisogna piuttosto essere consapevoli che l’uomo, nel momento in cui viene alla luce, come ammonisce Heidegger, è già pronto per morire.

Oggi diremmo, in un discorso strutturalista: siamo programmati così. Una loggia, è stato detto più volte, è come un corpo organico, accomunato ad una pianta, tanto che il nuovo iniziato è detto neofita, cioè un nuovo virgulto, e che le logge che scaturiscono da una loggia madre sono dette gemmazioni. Cosa dobbiamo dedurne? Che anche una loggia, dunque, nasce, si sviluppa e un giorno morirà. E’ compito del singolo tenere viva la fiamma della candela che si ha in mano, al riparo dal vento o dal soffio di chi vuole spegnerla.

Sono le energie, positive o negative, l’amore (o il disamore) che mettiamo in circolo, a lasciare qualche traccia che parli, ancora per un po’, illusoriamente di noi.

Il mistero e il timore della morte è stato sicuramente uno dei primordiali meccanismi mentali e sentimentali a determinare in homo sapiens il pensiero religioso.

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Pregnante ed incisivo è il richiamo alla morte, a partire dall’iconografia del teschio posato sull’ara come un memento mori che ci accompagna . Celebre è il dipinto del Guercino, Et in Arcadia Ego. Tralasciando le dotte esegesi esoteriche cui si presta il quadro, il teschio su una lapide di pietra, e quella scritta incisa sul frontale dà titolo al quadro, sta a significare che – anche nella felice Arcadia della beatitudine – la morte è presente.

Guercino

Parafrasando Heidegger: per l’uomo il risvolto della vita è la morte.

E’ il mito stesso di Hiram che viene ripercorso, come un mistero osiriaco, una sorta di messa in scena orfica, nel rito di iniziazione al terzo grado muratorio: il compagno morto risorge maestro.

Infine altro elemento iconografico del Tarocchi è la rosa a cinque petali che è un richiamo a Rosen Kreuz, ai Rosacroce, alla rosa che nasce dal sangue della passione.

arch. Renato Santoro – Roma, aprile

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