Una foto del 1935 ritrae la principessa Maria Jose, sposa di Umberto, il rampollo di Casa Savoia, durante una visita ufficiale della giovane coppia in Egitto. La futura regina d’Italia, cui toccò in sorte di regnare un solo mese nel maggio del 1946, in omaggio al Paese ospite fa sfoggio di gioielli e accessori ispirati all’antica moda della terra dei faraoni.
A sedere sul trono d’Egitto in quell’occasione è, ancora per poco, l’italofilo sovrano Fuad I che morirà d’infarto l’anno successivo. In fretta e furia viene richiamato in patria dalla Gran Bretagna, ove stava frequentando l’accademia militare, il sedicenne erede Farouk I. Era infatti nato al Cairo l’11 febbraio del 1920 e la consapevolezza di un tal peso in così acerba età costituì l’asse portante del discorso rivolto alla nazione in occasione della propria incoronazione.

Le monete che furono coniate in suo onore ce lo presentano come un novello regnante alessandrino, con il fez ottomano che quasi ricorda un copricapo tolemaico.
Durante il secondo conflitto mondiale che di lì a poco sarebbe scoppiato, la politica egiziana fu improntata ad una sorta di neutralità, seppure le simpatie della corte, già connotate da quelli che erano gli orientamenti di Fuad, fossero indirizzate verso l’Italia e la Germania di Mussolini e Hitler, dal momento che il lungo e invadente periodo di protettorato britannico aveva prodotto una certa insofferenza nei confronti di Londra.
Non bisogna dimenticare che il legame di Fuad con la nostra Penisola risaliva agli anni in cui era quotizzato presso la selettiva loggia romana Propaganda Massonica, facente capo al Grande Oriente d’Italia, ove fu elevato al grado di maestro nel 1912. Fuad in gioventù aveva frequentato l’accademia militare sabauda di Torino e altrettanto avrebbe voluto che si ripetesse per il figlio, se gli inglesi non fossero intervenuti per caldeggiarne la formazione nel loro Paese. Le propensioni italiane di Fuad le ritroviamo negli incarichi da lui assegnati ad artisti nostri connazionali, come il pittore lombardo Giuseppe Amisani, chiamato a ristrutturare e decorare la residenza estiva di Alessandria, quel sontuoso palazzo di Ras al Tin che alla metà del XIX secolo era stato costruito sulle rive del Mediterraneo in stile neoclassico dall’architetto livornese Pietro Avoscani. E ancora italiano è lo scultore Pietro Canonica -forse conosciuto e apprezzato già dal periodo piemontese – che di Fuad I realizzò un busto in bronzo nel 1926, di cui si conserva il bozzetto preparatorio in gesso colorato, oggi visibile alla Fortezzuola di Villa Borghese (replicato nel 1956 proprio per il figlio Farouk, che ormai si trovava nella capitale italiana).

In quei primi anni di regno di Farouk, Roma stava tessendo una rete di rapporti diplomatici volti a recuperare un ruolo di predominio nel Mediterraneo orientale e il Cairo poteva essere un interlocutore di primo piano, garantendo comunque al Paese quell’indipendenza che la voracità della corona britannica pareva non assicurare. Purtroppo le mire dell’Italia sul Sudan, che di fatto era un condominio anglo-egiziano, misero in allarme tanto l’Egitto quanto re Giorgio VI; sicché la Gran Bretagna, che in quello scacchiere mediorientale aveva interessi sin troppo espliciti, spinse affinché nel 1945, quando però i giochi erano ormai fatti, l’Egitto si schierasse ufficialmente contro l’asse Roma-Berlino.
Farouk apparteneva al casato dei khedivè d’Egitto nominati dal Sultano della Sublime Porta, con ascendenze genealogiche di area balcanica (suo nonno era Ismail Pascià). Dal padre aveva ereditato una tendenza alla pinguedine; ed entrambi erano afflitti da problemi cardiaci che sarebbero stati loro fatali, giacché l’uno e l’altro moriranno di crepacuore.
Prima di ingrassare Farouk era un bellissimo ragazzo, snello, alto oltre un metro e ottanta, dall’incarnato pallido e malinconici occhi verdi trasmessi dal ramo materno. Fuad aveva sposato in seconde nozze Nazli Sabri che gli avrebbe dato il sospirato maschio ed aveva origini europee. Non bisogna dimenticare che anche l’altra figlia, la sorella di Farouk Fawzia, era celebre nel bel mondo internazionale per la sua indiscutibile bellezza; tanto da essere scelta in sposa dallo Scià di Persia.


Come ebbero a commentare i Romani, al seguito di Cesare sul Nilo, i regnanti alessandrini di stirpe macedone non avevano una sola goccia di sangue egiziano; altrettanto potrebbe dirsi del casato reale del Cairo al primo Novecento.
Malik Farouk ibn Fuad era nato nella Capitale nello storico palazzo Abidin e gli esperti in materia dinastica così ne hanno quantificato le componenti genetiche: per 10/16 circasso (un’etnia caucasica); per 3/16 turco; per 2/16 francese (in linea materna); per 1/16 albanese (in linea paterna).
Anche Farouk, quasi ripercorrendo le orme paterne, dovette ripudiare Farida, la prima moglie, che in dieci anni di matrimonio gli aveva dato tre figlie ma non riusciva ad assicurare un nastro azzurro sulla culla reale. Nel 1951 sposò la sedicenne Narriman Sadiq, che già l’anno successivo diede alla luce il piccolo Fuad; sia pure inutilmente visto che, pochi mesi dopo, i tre dovettero levare le ancore e partire per l’esilio italiano. Già nel 1953 Narriman fu indotta a lasciare l’Italia e riparare in Svizzera dove l’erede, affidato giuridicamente al padre, sarebbe cresciuto fra severe governanti e collegi esclusivi. La coppia divorziò nel 1954 e l’ex sovrana, spogliata di ogni privilegio regale, se ne tornò nel Paese natale dove si rifece una vita. Del resto sarebbe stato imbarazzante sopportare pubblicamente gli esibiti tradimenti del consorte che l’aveva sposata per mero calcolo della corona.
Farouk, come Fuad, apparteneva alla massoneria italiana; fattore questo che rappresenterà un legame prioritario con il nostro Paese, dove si sentiva di casa.

Nel 1952 il colpo di stato militare organizzato dal colonnello Nasser e dal generale Nagib porterà all’abdicazione del re a favore – del tutto nominale – del figlio Fuad che, nato a gennaio, al 23 luglio aveva 6 mesi; Farouk sceglierà l’Italia come meta del proprio esilio. Quasi una sorta di scambio di cortesie, visto che appena qualche anno prima, quando Vittorio Emanuele III e la regina Elena dovettero lasciare l’Italia, proprio da lui erano stati accolti ad Alessandria. E da Alessandria il panfilo di Farouk, il favoloso Mahrousa, fece rotta per l’Europa, con destinazione Napoli, dove farà scalo il 29 luglio del 1952.

Quando il neonato governo presidenziale egiziano requisì anche la prestigiosa imbarcazione, lunga oltre 140 metri, il detronizzato sovrano dovette “ripiegare” – per così dire – su uno yacht dalla lunghezza di 80 metri, il Fakhr el Bihar (che in arabo vuol dire uccello marino), con il quale spostarsi fra le più esclusive località alla moda del Mediterrano occidentale, da Montecarlo a Sanremo, da Capri a Taormina, suscitando ovunque brusii di stupefatta ammirazione quando il panfilo del faraone d’oro attraccava in porto.
La vita di re Farouk a Roma, coincide con gli anni effervescenti del nostro dopoguerra, la stagione beata della dolce vita, fra divi di Hollywood e aristocrazia papalina, latin lover, starlettes e paparazzi, principesse tristi e “contesse scalze”; mentre a Cinecittà rivivono gli amori di Cleopatra. L’ex re d’Egitto godeva di un appannaggio favoloso, tale da consentirgli un tenore di vita degno della sua posizione e del suo lignaggio.
Negli anni ’50 un personaggio ormai sbiadito nel ricordo dei Romani – ma che allora era divenuto un punto di riferimento con il suo locale notturno aperto nella Capitale dopo il suo arrivo in Italia – era la brillante ballerina di charleston e cantante americana Ada Smith, nota come Bricktop dal colore rosso mattone dei capelli Sia pure non più giovanissima, con il suo temperamento subito attirò l’attenzione del deposto monarca in esilio. Nata in Virginia, con la passione per la danza e per la musica jazz, di colore come la più famosa Josephine Baker sulla breccia nello stesso periodo, dotata di una forte personalità, era approdata nella Parigi degli anni ruggenti, dove aveva catalizzato l’attenzione di Scott Fitzgerald, Hemingway, Picasso, Man Ray. Per poi scendere a Roma quando i tedeschi entrarono in Francia. Assiduo del Chez Bricktop di via Veneto, Farouk fu ammiratore munifico della proprietaria, la quale però troppo insofferente ai legami finì col tenere a distanza le sue galanterie. In particolare quando l’Egiziano dimostrò di non gradire che la disinvolta interlocutrice continuasse a frequentare Amin, il segretario del sovrano, anche dopo che il re lo aveva licenziato. La risposta della donna fu giudicata irriverente: “Maestà, non ho mai permesso nemmeno a mia madre di selezionare i miei amici” e la conseguenza fu che, indispettito, Farouk smise di frequentare il suo esclusivo ritrovo alla moda.
Ma in quegli anni Roma sarà anche palcoscenico di torbidi e clamorosi delitti che appassioneranno morbosamente gli avidi lettori delle pagine di cronaca nera del tempo. Nel 1953, a guadagnare le prime pagine e suscitare scandalo è il rinvenimento sulla spiaggia di Capocotta del cadavere di una ragazza morta accidentalmente in un festino a base di sesso e stupefacenti, in cui erano coinvolti influenti personaggi pubblici, coperti dai servizi segreti. Qualche anno dopo, riflettori puntati su un uxoricidio su commissione, abilmente architettato dal marito indebitato per incassare la polizza sulla vita della moglie. Sullo sfondo e le atmosfere di quella invenzione felliniana che fu via Veneto, va inquadrato – appena un anno prima della morte del monarca in esilio – anche l’omicidio del bel dongiovanni egiziano Farouk Chourbagi, ammazzato a via Lazio dai coniugi Bebawi, egiziani anch’essi. O il caso “dell’uomo in blu” in via Emilia (ancora le strade della Dolce Vita), l’assassino senza nome dell’avvenente modella tedesca in cerca di fortuna sulle rive del Tevere.

Nel 1952 e nel 1953 Farouk e Narriman alloggiarono a Grottaferrata, a villa Dusmet, una bella residenza di campagna di fine Ottocento, oggi in disarmo, che presto si rivelerà troppo isolata e noiosa per carattere e gusti dell’ex sovrano, inguaribilmente incline alla mondanità, alle case da gioco, ai locali notturni, alle macchine fuori serie, alle avventure galanti.
Nella bella stagione soggiornano a Santa Marinella, ospiti dell’albergo Villa delle Palme, negli anni ’50 tra i più ricercati dai Romani a solo pochi chilometri dalla città.

Liquidata Narriman, l’ex re si trasferisce a Roma; dapprima in un prestigiosissimo appartamento con saloni, colonne, stucchi e affreschi, di oltre 1000 metri quadrati, in piazza Vittorio Emanuele II (all’Esquilino, che allora era un borghese quartiere umbertino, nell’edificio centrale di rappresentanza disegnato da Gaetano Koch), di taglio consono al suo titolo; per poi passare alla più quieta discrezione dei Parioli, in un lussuoso appartamento di 500 metri quadrati in via Archimede. Si tratta di una sobria ma elegante e luminosissima palazzina del 1939 progettata dall’architetto Luigi Piccinato. Per abbellire l’androne fu lui stesso a far dono al condominio di una statua antica raffigurante proprio l’illustre scienziato di Siracusa.

Sulla stampa rosa si comincia a parlare con insistenza di una sua liaison con la non ancora ventenne napoletana Irma Capece Minutolo, una procace ragazza bionda di buona famiglia partenopea, dal cognome altisonante ma in realtà decaduta, che aspira ad intraprendere la carriera di soprano lirico. Le sue forme rispondono ai canoni estetici del tempo, quelli delle maggiorate alla Pampanini e alla Loren prima maniera; e fanno immediatamente colpo sul poco più che trentatreenne esule. Li si vede in giro per la Capitale: alle cene di gala, alle prime, alle sfilate nell’atelier di Emilio Schuberth, in trasferta in Costa Azzurra. Il Malik è molto generoso con le sue conquiste ed è nota la sua munificenza che si traduce in gioielli, pellicce, abiti firmati, viaggi. Il Grand Hotel Miramare di Formia si vanta di averlo avuto suo ospite. D’estate era di casa ad Anzio all’hotel Corsaro; ma in seguito saranno soliti prendere in affitto una villa, affacciata direttamente sul mare; quella che in seguito sarà comprata dall’attore Amedeo Nazzari.
Quella con Irma Capece Minutolo, quindici anni di differenza d’età, diventa una relazione stabile, ufficializzata anche presso la famiglia reale. Alla morte di Farouk, Irma “la favorita” sarà presente ai funerali romani assieme alle sorelle e alla madre del re.



L’animatore della vita notturna capitolina, bersaglio dei flash dei fotografi appostati all’uscita dei migliori ristoranti, che con la sua stazza di quasi un quintale e mezzo non poteva passare inosservato, morirà nel 1965 all’età di soli 45 anni.
Quella sera del 18 marzo aveva scelto un locale fuori mano, sulla via Aurelia Antica, l’Ile de France, un casale al civico 270 al riparo da sguardi indiscreti, dal momento che sua ospite stavolta non è Irma, che si trova a Montecarlo, ma una non meglio identificata giovane parrucchiera, tal Annamaria Gatti. I reportage del giorno dopo descrivono il menù della serata: ostriche a volontà e abbacchio al forno, dolce e frutta. Farouk che è una buona forchetta si accende l’usuale sigaro del dopo pasto e a quel punto accusa i primi sintomi di soffocamento, si sente male, le sue guardie del corpo praticano i primi soccorsi, si tenta un massaggio cardiaco ma la situazione non migliora. Viene chiamata un ambulanza e il re viene trasportato al San Camillo, dove muore alle prime ore del nuovo giorno.

Non fu eseguita autopsia per disposizione del suo entourage ma il referto ospedaliero fu emorragia cerebrale. Si disse che forse aveva ecceduto anche con l’alcol ma chi lo conosceva bene sapeva quanto fosse osservante del precetto islamico che ne vieta il consumo. La sua fidanzata Irma confidò che una volta aveva sorseggiato dello champagne e il re le fece bere dell’acqua perché altrimenti non si sarebbero potuti baciare.
Qualche dietrologo parlò anche di avvelenamento su commissione, da parte dei servizi segreti egiziani che volevano togliere di mezzo la sua ingombrante presenza e qualsiasi indesiderata rivendicazione.
Su di lui circolarono infatti, sia da vivo che da morto, dicerie e malignità d’ogni genere, le più disparate, probabilmente messe in piazza da detrattori e oppositori politici.
Si disse che fosse cleptomane, che avesse addirittura preso lezione da gente del mestiere. Si raccontò che una delle sue vittime fu addirittura Winston Churchill cui, durante un pranzo ufficiale al Cairo, sottrasse l’orologio da taschino per poi riconsegnarglielo quando l’illustre commensale si accorse di non averlo più.
Accanito giocatore di poker, furono in molti a testimoniare che fosse solito barare, talora anche spudoratamente. Tra le leggende sul suo conto, esilarante quella di un suo un tris di re dichiarato sulla parola come poker – a dispetto della figura palesemente mancante in quanto in mano all’avversario – dal momento che il quarto re era lui stesso in persona.
Amava mostrarsi in compagnia di avvenenti fanciulle, ma si calunniò anche sulle sue scarse capacità amatorie, a causa delle modeste dimensioni anatomiche (effetto generalmente prodotto dall’adipe inguinale). E che per aiutarsi nelle prestazioni ricorresse ad una sterminata raccolta di foto, riviste e pellicole pornografiche. In pratica si mise in atto quella campagna denigratoria che accompagnò nel mondo antico la reputazione degli imperatori romani, accusati dagli avversari di qualsiasi nefandezza immaginabile, soprattuto quando si trattava di spiare sotto le lenzuola.
Al corteo funebre che si tenne a Roma lungo viale Regina Elena, partito dalla camera mortuaria del Policlinico, assistette il figlio tredicenne Fuad, giunto per l’occasione dal cantone elvetico di Ginevra; c’erano naturalmente le figlie, c’era Fawzia, la sorella prediletta di Faruk, e la madre Nazli Sabri che aveva perso il titolo di regina madre perché nel frattempo era diventata cristiana, si faceva chiamare Mary Elizabeth e si era trasferita in California. A seguire il feretro, non lontano dai familiari stretti, anche la Capece Minutolo in gramaglie e velo nero, vedova di fatto dell’ex re.


In un’intervista televisiva per una rete egiziana, Irma è commovente quando rievoca la struggente nostalgia – talora sino alle lacrime – di Farouk per il proprio Paese. Amava passeggiare sul lungomare di Napoli o di Sorrento perché gli ricordavano la Corniche di Alessandria, l’ultima immagine che conservava negli occhi, quando aveva visto allontanarsi all’orizzonte il profilo costiero del Delta.
Dall’Italia la salma di Farouk prese il volo per l’Arabia Saudita dove il sovrano di quel Paese musulmano gli assicurò temporanea sepoltura. Da lì, dopo l’autorizzazione del presidente Nasser, sarà poi traslato al Cairo, presso la moschea di Al Rifai, dove si trova la sua tomba monumentale, accanto a quella del padre Fuad I. La tumulazione avvenne nottetempo, nella penombra delle lampade ad olio e concessa in forma strettamente privata, alla sola presenza delle sue due sorelle Faiza e Fawzia.


