Nell’iconografia mitologica egizia le divinità antropomorfe maschili sono caratterizzate da una stretta e lunga barba intrecciata che assurge a simbolo di sacralità e potere dinastico. Ne sono esempi diretti: Osiride, Atum, Ptah (FIGG. 1,2,3). Tanto è vero che anche i faraoni (FIGG. 4,5), rappresentanti terreni del dio, indossavano una barba posticcia; al punto che persino le regine – come nel caso di Hatshepsut (FIG. 6) – nelle cerimonie ufficiali e nelle sue raffigurazioni plastiche o pittoriche potevano esibire questo simbolo di comando (che a questo punto non ha più una valenza di mascolinità ma di una sovranità che trascende il dato di genere).
FIG. 4/BIS: insolite inquadrature della maschera aurea di Tutankhamon senza barba, quando era in restauro dopo la scoperta, prima di essere esposta nelle sale del museo del Cairo
FIG. 5: Ramesse II
FIG. 6: Hatshepsut
In area mediorientale, trattandosi di società a spiccata connotazione patriarcale, una folta barba diviene vessillo di virilità e saggezza, come accade nel mondo assiro-babilonese (FIGG. 7,8,9) o in quello giudaico, dove la religione vieta la rappresentazione di Jahvé ma che sicuramente viene percepito come Dio-Padre (come suggerisce il Padreterno creatore michelangiolesco della Sistina, FIG. 10).
Eppure Gesù di Nazareth, che di fatto è il portato della cultura ebraica, nelle sue prime raffigurazioni iconiche è presentato imberbe (come nel sarcofago di Giunio Basso o nel mosaico ravennate di S. Vitale, FIGG. 11, 12) e solo a partire dal IV secolo in occidente, sulla scorta delle descrizioni fattene nei Vangeli Apocrifi, può vantare la tradizionale barba castana (ritrovata già ad Ostia Antica, FIG. 13) che attraverserà nei secoli la storia dell’arte europea.
La tipologia iconografica di Gesù aveva bisogno di essere resa più autorevole di quanto lo fosse quella del giovane rasato e mite delle sue prime rappresentazioni. Ci si rivolse perciò al repertorio pagano, al padre degli dei, a Zeus in persona. Le tavole del Fayyum, che sono l’antefatto estetico dell’icona bizantina, ne sono l’esemplificazione più calzante. Il Serapide del Getty Museum di Malibu (FIG. 14), cioè la versione egizia di Giove, presenta in nuce quello che sarà l’immagine a venire del nuovo Gesù adulto e barbuto che ritroveremo nei mosaici di S. Pudenziana a Roma (fine del IV sec.) o del Pantokrator del Sinai del V secolo (FIGG. 15, 16).
Anche il mondo musulmano, che in qualche modo (come il Cristianesimo) è derivazione delle premesse degli Ebrei, proibisce che si dia immagine ad Allah; ma di Maometto che è suo Profeta nei primi secoli di diffusione della dottrina islamica restituisce la rappresentazione di un uomo adorno di una bella barba scura che gli incornicia il viso (FIG. 17).
Al contrario, spingendoci ancora più ad est, nella cultura dell’India e dei Veda, la barba cessa di essere prerogativa delle divinità maschili, tanto che Brahma, Shiwa, Vishnu (FIGG, 18,19,20) ne sono sprovvisti.
Così è anche per Buddha, che vanta una serafica faccia tonda e glabra (FIG. 21). Mentre in Cina la sapienzialità di Confucio (FIG. 22) è associata alla barba, che diviene sinonimo di assennatezza filosofica raggiunta con l’età.
In Grecia invece l’Olimpo è popolato da bellissimi dei in giovane età, come Apollo, Hermes, Ares (FIGG. 23,24,25), e perciò senza barba; e dalla generazione di dei più maturi, con tanto di barba (FIGG. 26,27,28) come Zeus, Poseidone o Cronos (il Saturno dei Latini). Nel periodo ellenistico, quando il sincretismo religioso coinvolge il mondo culturale egiziano con quello greco-romano, si assiste ad una miscellanea figurativa e alla creazione di nuove divinità come Amon-Zeus (dalle corna di ariete, FIG. 29) e Serapide (Osiride Api atteggiato come Giove, FIG. 30).
Se il Pantheon romano ricalca più o meno fedelmente quello greco, nella Roma imperiale per la barba dei sovrani non c’è una regola codificata e costoro possono indifferentemente mostrasi senza – come Cesare, Augusto, Caligola (FIGG. 31,32,33) o con una virile peluria come Antonino Pio, Marc’Aurelio, Settimio Severo (FIGG. 34,35,36).
Nel culto misterico di Mithra, che proprio in quei secoli si diffonde, parallelamente al Cristianesimo, nelle regioni dell’Impero, il dio di origine persiana è raffigurato come un giovane dal bel viso imberbe nell’atto di sacrificare il toro (FIGG. 37,38). Dall’Oriente era giunto a Roma anche un altro rito misterico, collegato a Cibele, la Magna Mater, e Attis suo eunuco paredro (FIG. 39), anch’egli come Mithra con il tipico berretto frigio. I sacerdoti di questo credo iniziatico giungevano all’auto-evirazione.
Il medioevo europeo cristiano, che si considera erede di Roma, trova la sua espressione iconica in Carlo Magno che, come imperatore romano, si presenta al cospetto dei papi per essere incoronato. Anche lui, illuminato regnante, si mostra con una folta ma curata barba a delineargli il mento (FIG. 40). Rigorosamente con barba gli imperatori di Bisanzio (FIG. 41).
Nel nostro Rinascimento gli artisti che hanno reso grande l’Italia seguono l’estro e lo stile personale. Botticelli e Raffaello, giovani e mondani, preferiscono radersi (FIGG. 42,43); Leonardo e Michelangelo, più introspettivi e tormentati, si lasciano crescere la barba (FIGG. 44,45).
I regnanti europei del Sei-Settecento, da quelli francesi (da Luigi XIV a Luigi XVI, FIGG. 46,47), a quelli inglesi (FIG. 48) o russi (FIG. 49) si lasciano ritrarre con le loro facce ben rasate, a differenza del costume correntemente adottato dai contemporanei regnanti di Spagna (FIG. 50), fieri delle loro barbe alla moda. Lo stesso Napoleone curava scrupolosamente il proprio aspetto e, romanamente, mostrava una mascella fresca di rasoio (FIG. 51).
FIG. 48: Giorgio IV
FIG. 49: Pietro III
L’Ottocento è il secolo in cui la barba imperversa nell’universo maschile. Quasi tutti i nostri personaggi risorgimentali ostentano orgogliosamente la loro barba virile, da Garibaldi a Mazzini, da Cavour a Vittorio Emanuele II (FIGG. 52,53,54,55). Anche il mondo della cultura e della filosofia non si sottrae alla moda dilagante: dal filosofo Karl Marx allo scultore Auguste Rodin, sino a Freud, padre della psicoanalisi (FIGG. 56,57,58), tutti con la loro barba importante e che conferisce un tono di gravità professionale.
Per contro il Novecento, quasi a voler prendere le distanze dal secolo precedente, sembra sottrarsi all’imperativo della barba. Quasi tutti i personaggi del XX secolo sono ritratti senza barba, come i pittori Picasso, Modigliani, de Chirico, Campigli (FIGG. 59,60,61,62); gli attori Rodolfo Valentino, Gary Cooper, Clark Gable, Marlon Brando (FIGG. 63,64,65,66) che propongono un ideale di seduzione mascolina sicura di sé e protettiva; i cantanti Elvis Presley, Paul McCartney, Mick Jagger (FIGG. 67,68,69).
Fra le barbe più imitate del secolo scorso, quella del rivoluzionario Che Guevara (FIG. 70) che fu presa a modello dai contestatori sessantottini di mezzo mondo (uno per tutti l’impegnato John Lennon, FIG. 71).
In ambito ecclesiastico è possibile osservare come i pontefici romani (e in genere il clero cattolico) siano propensi alla rasatura del mento (FIGG. 72,73,74), mentre in ambiente ortodosso avviene esattamente il contrario (FIGG. 75,76,77) con i patriarchi che fanno sfoggio di reverendissimi e fluenti barboni (come del resto avviene per i rabbini della religione israelitica, FIGG. 78,79).
FIG. 72: Pio XII
FIG. 73: Giovanni XXIII
FIG. 75: Athenagoras
FIG. 76: Bartolomeo
FIG. 77: Makarios di Cipro
Anche i valorosi capi indiani d’America non sentivano il bisogno di farsi crescere la barba per palesare la loro autorevolezza e il proprio coraggio: era sufficiente la fierezza dello sguardo e la fama delle loro gesta come possiamo ancora leggere nei ritratti fotografici di Toro Seduto o di Cavallo Pazzo (FIGG. 80,81).
Infine c’è da osservare che negli ultimi anni quella della barba è una tendenza invalsa in maniera massiccia e nelle nostre strade – sull’onda delle sfilate di moda milanesi sulle cui passerelle hanno cominciato a far bella mostra di sé aitanti giovanottoni barbuti – aumenta in misura esponenziale il numero di uomini più o meno giovani che non resistono alla tentazione di presentarsi nella versione “macho”, incoraggiati dagli esempi che vengono dal mondo del cinema (FIGG. 82,83,84,85).
arch. Renato Santoro, Roma 25 aprile 2016