Mitologia e iconografia dell’antico Egitto ci hanno reso familiari gli ibridi e appare quasi del tutto normale la raffigurazione di divinità con sembianze per metà umane (maschili o femminili, perché il pantheon di quella civiltà non faceva distinzioni di genere) e per metà animali.
Quasi anticipatori dei cartoni animati disneyani – dove sono dati, per acquisita consuetudine, cani, mucche, topi, paperi parlanti e pensanti – nulla di strano vedere statue o pitture con corpi “contaminati” dalla testa di ariete, di falco, di sciacallo, di gatta, di leonessa, di ippopotamo. Del resto già dall’età preistorica ci sono noti, graffiti sulle pareti delle grotte pirenaiche, strani sciamani con testa di cervo, bisonte od uccello.


Sulle rive del Nilo, quando erano nati i miti, ancora non era conosciuto il cavallo (per tradizione importato dagli Hyksos) e forse per questo non è contemplato nessun dio ibridato con questo nobile e fiero animale.
Anche nella Grecia arcaica il cavallo non aveva diffusione, se non nelle regioni del settentrione, presso i Tessali, dove è presumibile sia stato introdotto da popolazioni nomadi provenienti dall’Asia. Gli abitanti del montuoso, impervio nord continentale balcanico, erano visti dalle genti elleniche del sud come uomini rudi, addomesticatori di cavalli e quindi nell’immaginario addirittura un tutt’uno con la bestia cavalcata. Potrebbe essere questa l’interpretazione positivista all’origine del mito del centauro, barbuto connubio di guerriero e quadrupede. C’è poi quella poetica che più si confaceva alle attitudini dell’ateniese civilizzato. Nasce così la versione romantica raccontata dagli artisti, che in particolare è incentrata su tre dei centauri più noti: Nesso, Folo e Chirone.
Eccone in breve la storia. Queste figure mostruose, ritenute violente e brutali, mangiatori di carne e bevitori di vino, avevano un capostipite che era stato generato da Issione, re tessalico dei Làpiti e da Nefele. Quest’ultima era la personificazione della nuvola foggiata da Zeus per trarre in inganno Issione e distoglierlo da Era di cui egli si era invaghito.
Il perfido centauro Nesso è legato al mito di Eracle e Deianira e dal semidio finì ucciso mentre tentava di rapirgli la sposa. E’ l’archetipo del centauro bellicoso, mentre gli altri due, Folo e Chirone, sono i centauri positivi. Impulsi barbarici e dominio delle passioni.
Folo, figlio di Sileno e di un’amadriade, aveva indole pacifica ed ospitale, tanto quanto Chirone, figlio di Crono e di una oceanide. Mite e saggio, il centauro Chirone era versato nella musica, nell’astronomia, nella medicina, nell’addestramento dei cavalli. Lo si ricorda come pedagogo preposto all’educazione di Achille, di Teseo, di Giasone e tanti altri personaggi del mito: da Apollo a Dioniso, da Castore e Polluce ad Asclepio. Alla sua morte Zeus lo mutò nella costellazione del Sagittario.
Evento questo con sotterranei rimandi alla millenaria scienza astrologica di quei babilonesi scrutatori di cielo e astri, che identificarono la costellazione con Pabilsaĝ, la divinità mesopotamica rappresentata come un arciere dal corpo equino alato e coda di scorpione.
Nei secoli è un susseguirsi di omaggi dell’arte a queste inquietanti creature fantastiche: dalle metope del Partenone agli affreschi pompeiani; dalla statuaria di villa Adriana di Tivoli alla grande pittura del Quattrocento. Rivisitati nel Seicento, documentati dai disegnatori dell’Ottocento, sino alla pittura dei maestri del Novecento.




Gustave Doré, incisione per il Canto XI dell’Inferno di Dante (1861). Il Fiorentino ha collocato i centauri a guardia dell’inferno, così come Virgilio nel Canto VI dell’Eneide li aveva menzionati sentinelle dell’Ade
Visione edulcorata del cinema d’animazione: i centauri nel film Fantasia di Walt Disney (USA 1940)
Sino a quella meravigliosa pagina cinematografica che è la Medea di Pier Paolo Pasolini. Le scene iniziali del film ci mostrano Chirone alle prese con un Giasone fanciullo e lo sceneggiatore-poeta gli mette in bocca parole che sono un vero condensato di mistica spiritualità: profondissima e ispirata interpretazione dell’immanenza del divino, con la ieraticità euritmica di un trisagion. Il senso del sacro permea un mondo arcaico e remoto come quello della Colchide, incarnato da una maga veggente, con il volto allucinato di una ispiratissima Maria Callas.
Tutto è santo, tutto è santo, tutto è santo. Non c’è niente di naturale nella natura, ragazzo mio, tientelo bene in mente. Quando la natura ti sembrerà naturale tutto sarà finito e comincerà qualcos’altro. Addio cielo, addio mare. Che bel cielo! Vicino, felice. Dì, ti sembra che un pezzetto solo non sia innaturale e non sia posseduto da un dio? E così è il mare, in questo giorno in cui tu hai tredici anni e peschi con i piedi nell’acqua tiepida. Guardati alle spalle, che cosa vedi? Forse qualcosa di naturale? No, è un’apparizione quello che tu vedi alle tue spalle. con le nuvole che si specchiano nell’acqua ferma e pesante delle tre del pomeriggio. Guarda laggiù quella striscia nera sul mare lucido e rosa come l’olio; quelle ombre di alberi e quei canneti. In ogni punto in cui i tuoi occhi guardano è nascosto un dio. E se per caso non c’è, ha lasciato un segno della sua presenza sacra. O silenzio, o odore di erba o fresco di acque dolci. Eh sì, tutto è santo. Ma la santità è insieme una maledizione. Gli dei che amano al tempo stesso odiano.
Fra i centauri passati in rassegna ci sono quelli dei due fratelli De Chirico, che proprio in Tessaglia, nella terra dei centauri, hanno trascorso la loro giovinezza tanto da ereditare una sorta di connaturata, familiare confidenza con il mito. Ed in particolare il più giovane dei due, che sarà noto con il nom de plume di Alberto Savinio, racconterà spesso di immaginari incontri – spingendo sul pedale del surreale e proponendoli come consueti, naturali – con quegli esseri metà uomo e metà cavallo scorrazzanti per le lande attorno all’antica Iolkos. Non a caso è proprio Savinio, che dell’apporto onirico ha fatto la propria cifra affabulatoria, a chiosare: Per capire i sogni non dobbiamo portare nel sogno la nostra sapienza, ma lasciare che il sogno porti in noi la sua sapienza.
L’approccio di Savinio con il mito, pittore sempre attratto dagli stupori che suscita il fiabesco, il leggendario, anche in questo caso è del tutto fuori dall’ordinario. La sua scelta cade sulla variante meno divulgata, privilegia la versione femminile del centauro, la centauride (o centauressa) degli antichi, ritratta in riva al mare sotto lo sguardo vigile della madre Nefele, una nuvola con tanto di occhi, in un ribaltamento della realtà congeniale al Nostro. Probabilmente è memore dell’episodio di cui narra Ovidio nelle Metamorfosi e che riguarda Cillaro e Ilonome. Cillaro era considerato il più bello dei centauri e la centauride Ilonome non poté che innamorarsene. Durante la battaglia fra Làpiti e Centauri, Cillaro resta ucciso e Ilonome per il dolore si toglie la vita. Il fiorentino Piero di Cosimo li rievoca in un particolare della sua Battaglia alla National Gallery.


Del 2003 è una “centaura” in bronzo della scultrice Alba Gonzales, che le dà il nome Chira (corrispettivo femminile di Chirone) e la immagina accompagnatrice di Enea. L’opera è stata installata sul lungomare di Fregene, in provincia di Roma

Il titolo di questo articolo è stato suggerito da un celebre film western statunitense del 1970: A Man Called Horse (interpetato da Richard Harris)