Sinistra fama di case nefaste

Ci sono luoghi che sono caricati da energie negative. Lo si percepisce quando ne varchiamo la soglia. Vuoi perché là si sono consumati atroci delitti, vuoi perché costruite su siti percorsi da sulfurei miasmi sotterranei. In Italia se ne contano un bel po’, da nord a sud della Penisola, dal Veneto alla Sicilia. Ne abbiamo scelto tre di queste “case funeste”, attorno alle quali si è sviluppata nel tempo una sorta di controversa leggenda popolare che le ammanta di un’aura malefica, costruendo su di esse una mitologia da nefasto genius loci.

Ca’ Dario, a Venezia, in questo campo si è guadagnata nel tempo un vero e proprio primato. Innegabile la sua bellezza architettonica: si tratta di un palazzetto nobiliare del XV secolo che si affaccia sul Canal Grande e al quale ha dato la propria impronta formale lo scultore e architetto Pietro Lombardo, imparentandola alla più celebre Ca’ d’Oro. Fin da subito questa residenza della famiglia Dario, un ricco e aristocratico casato della Serenissima, è stata associata a morti violente, suicidi, tracolli finanziari (che non risparmiarono la  stessa figlia di Giovanni Dario, Marietta; suo marito Vincenzo Barbaro ed il loro figlio Giacomo). Sulla sua facciata era inciso il motto del committente: “Urbis Genio Ioannes Dario”. Ben presto l’iscrizione fu anagrammata dai veneziani, con malevola perfidia, in “Sub ruina insidiosa genero”.

Nell’Ottocento i discendenti della famiglia Dario vendettero il palazzo ad un commerciante armeno di pietre preziose, tal Arbit Abdoli, il quale, dopo aver dichiarato bancarotta, se ne sbarazzò vendendolo al primo incauto offerente. Nel Novecento, nel secondo dopoguerra fu acquistato dal miliardario americano Charles Briggs che fu costretto ad abbandonare Venezia e Ca’ Dario per gli insistenti pettegolezzi attorno alla sua mal celata omosessualità. Una volta trasferitosi in Messico fu là che il suo amante si tolse la vita. Passando di mano in mano, nell’ultimo cinquantennio, fu teatro di una serie continua e perniciosa di eventi luttuosi che magari sarebbero accaduti anche in altre circostanze e in altri luoghi ma che, verificandosi puntualmente in questa nobile magione tristemente famigerata, non hanno fatto altro che accrescerne le maliziose dicerie: dal conte torinese Filippo Giordano delle Lanze che fu qui assassinato da un prezzolato amante croato nel 1970; al manager dei Who che fu arrestato per droga; dalla sorella del facoltoso imprenditore veneziano Fabrizio Ferrari, la quale morì in un incidente d’auto; al finanziere Raoul Gardini che, travolto dallo scandalo di Tangentopoli, finì con il suicidarsi. La negatività di questa casa è talmente radicata che da allora nessuno ha osato più abitarci. Attualmente il palazzo è stato acquistato da una società americana per conto di un miliardario d’oltreoceano, evidentemente poco superstizioso ma che scaramanticamente ha voluto comunque rimanere anonimo ed ha dato il via ai lavori di restauro dell’immobile.

La costruzione, sovraccarica di ornato, si presenta infatti leggermente inclinata su un lato, a causa di un cedimento strutturale, tanto che Gabriele D’Annunzio, il divin Vate, nel descriverla, la paragona ad “una cortigiana decrepita sotto la pompa dei suoi monili”, stigmatizzandone in qualche modo l’eccessiva esuberanza dei decori (G. D’Annunzio, Il fuoco, Treves, Milano 1900, p. 7).

“Lo strepito di un′acclamazione sorse dal traghetto di San Gregorio, echeggiò pel Canal Grande ripercotendosi nei dischi preziosi di porfido e di serpentino che ingemmano la casa dei Dario inclinata come una cortigiana decrepita sotto la pompa dei suoi monili” (G. D’Annunzio, Il fuoco)

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Foto del 1870 scattata da J. Anderson (Hermitage, Mosca)

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IN ALTO: Ca’ Dario in un acquerello di G. Boni, 1883 (Ashmolean Museum, Oxford) e in un olio su tela di Claude Monet del 1908 (Art Institut di Chicago)

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In alto: Ca’ Dario a Venezia (affaccio sul Canal Grande), prima e durante i restauri e dettagli stilistici (nel particolare del piano terra si legge la scritta incisa a fianco delle tre porte centinate: Urbis genio Ioannes Dario)

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Ca’ Dario, interni

A Napoli, di fronte al promontorio di Posillipo, emerge l’isolotto della Gaiola, in un habitat naturale di incomparabile bellezza. Analoga sorte e analoga nomea è toccata a questo luogo. Su questo scoglio nella seconda metà dell’Ottocento l’allora proprietario Luigi de Negri vi si costruì una villa che, pochi anni dopo, a seguito del dissesto finanziario del de Negri dovette essere venduta. I napoletani, notoriamente sensibili all’argomento – come insegna il bellissimo romanzo breve “Jettatura” di Théophile Gautier che proprio nella città partenopea è ambientato – cominciarono a guardare con sospetto la Gaiola, su cui circolavano strane voci.

“Stia in guardia, signore, da quella parte di Napoli si aprono gli Inferi!” ammonisce l’interlocutrice napoletana rivolta al danese Hans Christian Andersen, che dalla capitale borbonica era stato ammaliato e prediligeva proprio la Grotta di Posillipo, quasi inconsapevolmente percepisse l’oscuro legame con le forze ctonie che pulsano per questi arcani lidi, abitati dalle sirene sin dal remoto tempo metastorico del Mito (H. C. Andersen, L’improvvisatore, Elliot, Roma 2013, p. 162).

Nel secolo scorso, negli anni Venti, l’allora proprietario, lo svizzero Hans Braun vi fu trovato morto avvolto in un tappeto e poco tempo dopo la moglie morì annegata. Il successivo proprietario, un tedesco vi morì d’infarto e non miglior sorte toccò allo scrittore Maurice Sandoz che gli era subentrato, morto suicida in una casa di cura svizzera. Un barone tedesco, Paul Karl Langheim, che, emulo di Von Gloeden e del Fersen,  era approdato nel Golfo delle Sirene spinto dalla passione per gli efebi partenopei, dilapidò qui la sua fortuna e finì ridotto sul lastrico. Nell’elenco dei proprietari figureranno poi due magnati del calibro di Giovanni Agnelli (la cui famiglia fu funestata da molti lutti) e Paul Getty, il cui nipote fu sequestrato dalla ‘Ndrangheta calabrese. Per finire con Gian Pasquale Grappone, che nel 1978 sarà coinvolto nel fallimento della Lloyd Centauro. Divenuto bene demaniale proprietà della Regione Campania, da quarant’anni è ormai disabitata ed è parco naturalistico marino.

Il nome – che in dialetto napoletano evoca la “cajola” cioè la “gabbia” – sembra piuttosto derivare dal latino medievale: tanto dal termine caveola (per la forma di piccolo anfratto posto dinanzi al parco archeologico di Pausilypon), quanto da galeola, cioè piccola galea, per il suo aspetto simile alla caratteristica imbarcazione romana.

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IN ALTO: isola e villa della Gaiola, Napoli (promontorio di Posillipo)

Anche per la Gaiola (così come dianzi per Ca’ Dario): non è il caso di dubitare che a determinare i tracolli e le avversità di questi eterogenei personaggi, così distanti e dissimili fra loro, furono le conseguenze delle loro azioni? O è davvero credibile che l’influsso di questo amenissimo luogo possa essere così pernicioso da condizionare il corso degli eventi?

Completiamo il nostro Grand Tour italiano del mistero in Sicilia, nella solare, accogliente Cefalù, ai piedi delle Madonie. E’ qui, in questo luminoso angolo di Mediterraneo che la storia si fa tenebrosa ed inquietante. In contrada Santa Barbara, sulle alture da cui si domina un mare di azzurro intensissimo, il discusso satanista inglese Aleister Crowley negli anni Venti del Nocecento fissò la sede di una singolare comunità iniziatica a sfondo esoterico-occultista. Si tratta di un anonimo casolare che Crowley trasformò nella cosiddetta Abbazia di Thelema. Lui stesso si auto-definiva “the Beast”, cioè la bestia di Satana, e in questo luogo organizzava, assieme agli adepti e alle sue concubine Leah Faesi e Ninette Fraux, riti a sfondo sessuale spacciati per pratiche magiche. Il nome della setta era Ordine ermetico della Golden Dawn, perché i suoi insegnamenti, appresi durante un viaggio in Egitto, erano considerati l’alba dorata di una nuova era. Era sbarcato nell’isola nel 1920 ma subito la diffidente gente del luogo cominciò a mormorare su quanto avveniva al chiuso di quelle stanze e in seguito all’insistenza del vescovo Mussolini già nel 1923 si decise ad espellerlo dal territorio nazionale per condotta oscena contraria alla morale.

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IN ALTO: Cefalù, contrada Santa Barbara, l’Abbazia di Thelema di A. Crowley (fotografato durante un rito iniziatico e all’esterno della “comune”). Planimetria e prospetto del corpo di fabbrica per un progetto di recupero di Paul Toner del 2013. Lo stato di abbandono all’interno

Thelema in greco vuol dire “volontà” e la filosofia di Crowley era basata sul principio del “do what you want”. Adorato come un santone profetico aveva scelto Cefalù avendo individuato nei pressi l’esistenza di un antico tempio di Diana, dove avrebbe voluto essere seppellito. Queste erano le sue volontà testamentarie, naturalmente disattese dall’ordinanza di espulsione, a fronte della quale non rimise più piede in Italia.

Il casale, segnato da questa lugubre fama, non è stato più abitato, divenendo punto di ritrovo per sbandati e tossicodipendenti, saltuariamente utilizzato per diaboliche, improbabili cerimonie notturne, tanto che il Comune ha dovuto scoraggiarne l’accesso. Da anni sta cadendo inesorabilmente in rovina.

Strane leggende di fantasmi e messe nere aleggiano anche su villa Manzoni a Roma, che l’architetto Armando Brasini, massone appassionato di esoterismo e alchimia, criticato per i suoi anacronismi e per certe estetizzanti inattualità, costruì negli anni Venti del secolo scorso per questo ramo capitolino della famiglia resa illustre dal celebre autore lombardo. Si trova sulla Cassia (al civico 471) e gode di una sinistra fama di negatività. Rimasta abbandonata per decenni, ora “riabilitata” dalla presenza di una sede d’ambasciata, negli anni trascorsi si è sempre parlato della villa come ritrovo per sbandati e visionari.

Armando Brasini, Villa Manzoni, via Cassia, Roma
Villa Manzoni sulla Cassia, negli anni dell’abbandono

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