Alcuni animali hanno fattezze che rimandano alle immagini della fauna preistorica e incuriosiscono per la singolarità di morfologie antidiluviane. Tra questi senz’altro il rinoceronte: un pachiderma che con la sua mole massiccia, il suo muso mostruoso, la sua coriacea pelle scagliosa, trova tranquillamente posto nelle pagine di un libro per paleontologi.
Già al tempo di Augusto se ne segnalava l’esotica rarità, tanto che il Romano – come racconta Svetonio – ne esibì un esemplare trasportato dall’Africa, ai Saepta del Campo Marzio (Vita di Augusto, par. 43). Eppure questo animale, in epoca remotissima, fu presente anche in Europa, dal momento che se ne trova la sua inequivocabile sagoma graffita sulle pareti della grotta di Chauvet, a Vallon-Pont-d’Arc nella Francia meridionale, a ridosso della Provenza.
Grotta di Chauvet (Francia), rinoceronte graffito, arte rupestre del Paleolitico Superiore
Villa romana del Casale (Piazza Armerina), mosaico del IV sec. d.C.
E’ una creatura che, in virtù della sua solidità e della sua longevità, simboleggia vigoria e benessere fisico ed il suo corno è divenuto, ahimè per il nostro rinoceronte, un ambito bottino di caccia; un tempo per gli stregoni, oggi per bracconieri e ciarlatani. La polvere di cheratina ottenuta da questi corni, che pare abbia raggiunto cifre astronomiche, viene spacciata come rimedio contro il cancro e contro l’impotenza.
Nel film di Federico Fellini E la nave va, del 1983, la presenza di questo animale a bordo del piroscafo in rotta verso l’Egeo, ha una sua inquietante e sinistra pregnanza allegorica; in particolare se diamo ascolto alla battuta di uno dei protagonisti, il giornalista Orlando, quel “Lo sapevate che il rinoceronte dà un ottimo latte?” di cui il regista non ha mai esplicitamente voluto (o saputo) fornire l’esegesi. Magari una semplice intuizione artistica da visionario particolarmente dotato? Per Tullio Kezich (Federico, Feltrinelli 2007, p. 342) Fellini “abbraccia nel rinoceronte la forza primigenia e si nutre del suo latte”, chiedendosi se nel finale del film sia “simbolicamente rappresentata la situazione dell’Io che accetta di convivere con il suo Es”. Il Riminese ha sempre sorriso, sornione e beffardo, dei sottotesti che i critici cinematografici hanno letto nelle sue sceneggiature.
Fotogrammi dal film E la nave va di Federico Fellini, 1983
Il rinoceronte come simbolo fallico (allusivo alle proprietà del suo corno) era già comparso nella scenografia del Casanova di Fellini datato 1976
Probabilmente nel mettere in scena questo enigmatico rinoceronte nel ventre della sua nave, Fellini e Tonino Guerra hanno tratto ispirazione dalla serie di stampe e dipinti circolati in Europa nel corso del XVIII secolo, quando nelle maggiori capitali del Vecchio Continente fece scalpore la tournèe di Clara, una femmina di rinoceronte così ribattezzata dall’olandese Van der Meer della Compagnia delle Indie che l’aveva acquistata nel Bengala, fatta sbarcare a Rotterdam nel 1741. Da qui l’animale, destinato a suscitare curiosità fra il pubblico pagante del suo tempo, fu condotto in lungo e largo come un fenomeno da baraccone, viaggiando su una speciale carrozza blindata, da Anversa a Bruxelles, da Parigi a Dresda, da Lipsia a Zurigo, da Marsiglia all’Italia. Qui da noi fece tappa a Napoli, Roma, Bologna, Milano e finalmente Venezia. Nel 1750 fu esibita alle Terme di Diocleziano e l’anno successivo approdò in Laguna per il Carnevale. Celeberrimo il ritratto fattone in quello stesso anno dal pittore veneziano Pietro Longhi. Così come di squisita fattura è la porcellana realizzata su disegno di Johann J. Kaendler per la fabbrica di Meissen. Non da meno il quadro del francese J. B. Oudry, che riproduce l’esemplare a grandezza naturale. Finì i suoi giorni in Inghilterra dove mori nel 1758, all’età di venti anni.
P. Longhi, Il rinoceronte, 1751, olio su tela, Museo del Settecento, Ca’ Rezzonico, Venezia
Manifattura di Meissen, porcellana da bozzetto di J. J. Kaendler, 1750 circa
Jean-Baptiste Oudry, Il rinoceronte Clara, 1749, olio su tela, Staatliches Museum Schwerin
Ma ancor prima ad incuriosire l’Europa era stato un altro esemplare di rinoceronte indiano, portatovi nel XVI secolo dai Portoghesi e poi donato a papa Leone X, ed è quello di cui ha lasciato una ritratto nientemeno che Albrecht Dürer nel 1515. In quell’anno fu dato alle stampe addirittura un poemetto del naturalista Giovanni Giacomo Penni intitolato Forma e natura e costumi de lo rinoceronte. E sicuramente anche Raffaello ebbe occasione di vedere l’animale, da lui riprodotto, in un affresco delle Logge Vaticane, sotto una palma accanto ad un elefante, nella Creazione degli animali risalente al periodo 1518-19. La povera bestia morì in un naufragio nel Mar Ligure durante uno dei suoi spostamenti.
Una formella del portale del Duomo di Pisa, datata post 1595, di scuola del Giambologna, ritrae la sagoma di un rinoceronte di derivazione düreriana con la dicitura in latino “avanzo sicuro”, manifesto attributo di questo
Stampa di A. Dürer datata 1515
Incisione su legno per il frontespizio del pometto di G. G. Penni, 1515, Bibliotheca Colombina, Siviglia
Raffaello Sanzio, La creazione degli animali, 1518-19, affresco, Stanze Vaticane, Roma
Securus accedo, Duomo di Pisa, formella della porta destra, scuola del Giambologna, 1602 circa
Lo stravagante e l’insolito hanno sempre suscitato interesse e morbosa curiosità negli spettatori. Si pensi alla pièce di Eugène Jonesco, alfiere del teatro dell’assurdo, che nel 1960 a Parigi mette in scena Rhinocéros, giocata sulla surreale e provocatoria metamorfosi degli abitanti di un paesino della provincia francese nel mitico animale. E in tema di surrealismo è difficile non imbattersi in Salvador Dalì che proprio del rinoceronte ebbe a dire: “è l’unico animale che trasporta una incredibile somma di conoscenza cosmica all’interno della sua armatura” (L. Pawels, Les Passions selon Dalì, Denoël 1968). E nel 1956 ne fornì alcune varianti plastiche in bronzo, di varie dimensioni, dal significativo titolo Rhinocéros Cosmique, con una valenza quasi esoterica. Sino alla versione monumentale andalusa, pesante oltre 3 tonnellate, collocata a Marbella: Rhinocéros habillé en dentelles, rivisitazione della stampa cinquecentesca di Dürer che confidò di conoscere sin da quando era fanciullo perché ne aveva una copia in casa. Da qui l’imprinting iconografico.
Stesse suggestioni in un pennello surrealista non molto conosciuto, quello dell’italiano Stanislao Lepri (Roma 1905-Parigi 1980), emigrato nella capitale francese dove vivrà con Leonor Fini. Venature fantastiche che ritroveremo anche nell’immaginario pop di Andy Warhol, con il suo Black Rhinoceros del 1983.
Anche ai nostri giorni questo animale continua ad essere simbolo di compattezza e primordiale energia. In Gian Paolo Dulbecco (La Spezia 1941) rivivono gli onirici accenti del Realismo Magico. L’installazione, voluta dalle Sorelle Fendi al Velabro, riproduce a dimensioni naturali proprio un rinoceronte, realizzato in vetroresina da Raffaele Curieri per le stiliste romane. Dichiaratamente ispirato al pachiderma creato dallo scenografo Dante Ferretti per il film felliniano, è stato piazzato ai piedi dell’Arco di Giano, a far convivere antico e moderno in uno stesso contesto metatemporale. L’artista bolognese Davide Rivalta, noto per i suoi bronzi di grandi dimensioni sparpagliati per piazze e giardini d’Italia (e non solo), raffiguranti, leoni, bufale, gorilla, non poteva non lasciarsi affascinare dal rinoceronte; dalla sua indomita energia espressa dalla forza materica del modellato, reso quasi informale sotto la pressione manuale dello scultore.
Rappresentazione teatrale della pièce di E. Jonesco, datata 1960
S. Dalì fotografato da P. Halsman con un rinoceronte, 1956
S. Dalì, Rhinocéros Cosmique, 1956
S. Dalì, Rhinocéros habillé en dentelles, 1956, Puerto Banus (Marbella)
Stanislao Lepri, Rinoceronte, 1970 (olio su tela, coll. privata)
A. Warhol, Black Rhinoceros, 1983
Lo spezzino Gian Paolo Dulbecco, classe 1941, rievoca le atmosfere da Realismo Magico in questa sua tavola del 2008, Le ombre della sera
Raffaele Curi per le sorelle Fendi, Arco di Giano, Roma 2018
Davide Rivalta (Bologna 1974)
Ctesia di Cnido e Megastene di Ionia, che ebbero l’opportunità di viaggiare in Asia sino alla Persia e all’India, furono i primi a parlarci dell’unicorno, animale fantastico dal cui corno le popolazioni di quelle terre ricavavano un potente antidoto contro i veleni. Dal momento che ancora oggi in Oriente sopravvive la credenza che dal corno del rinoceronte indiano si ottengano farmaci taumaturgici, tutto lascia credere che il mitico animale raccontato dai periegeti greci altro non sia che l’ormai più familiare rinoceronte.
Unicorno, mosaico pavimentale, XIII secolo, S. Giovanni Evangelista, Ravenna
Anche i fumettisti della Marvel, la casa editrice americana fucina di supereroi dai prodigiosi superpoteri, traggono ispirazione dalla invulnerabilità di un animale possente come il rinoceronte, da contrapporre all’astuzia “tessitrice” dell’Uomo-ragno. E il suo nome è naturalmente “Rhino”.