DALLA SOCIETA’ DI MASSA ALL’ESISTENZIALISMO

Nella società di massa, l’individuo vede sfumare i propri contorni e connotati, diviene numero. Non si riconosce più in un umanesimo (filosofico) o in una fratellanza (religiosa) avvolgenti, ma finisce con il sentirsi insignificante particella di un tutto informe, condizionata da quelli che sono  diktat e in-put provenienti da fuori, dall’alto.

Alienato nei confronti di un Dux o di un Führer, dell’esercito, del clero, del tribunale, del consumo, della pubblicità, della cultura e del gusto dominanti l’uomo moderno scopre l’inquietudine,  la propria angoscia esistenziale.

Torna a porsi interrogativi – del tenore: “chi e perché sono” – ai quali non sa più trovare una risposta  rassicurante, schiacciato com’è da questo senso di inadeguatezza sia rispetto alla massa di cui è parte comune, sia rispetto al vertice, tanto terreno che ultraterreno, della piramide.

Il compito dell’intellettuale, come esorta idealisticamente Gramsci [1], è quello di educare il popolo a prendere coscienza di sé, quindi a crescere, non solo civilmente come classe, ma anche mentalmente e spiritualmente come umanità. Se di fatto il popolo, i cittadini, la società vengono declassati a massa inerte, cioè ridotti a strumento e non fine degli interessi del potere (economico, politico e religioso), si rinvia sempre più oltre la liberazione, il riscatto dall’asservimento alle induzioni esterne prodotte dalla paura, alle false credenze, ai finti bisogni consumistici sottilmente istigati dalla produzione (di massa), non solo quella materiale ma anche quella culturale.

Tra i primi a denunciare questi rischi furono i filosofi politici di formazione marxista, quali Lukàcs, Horkheimer e Adorno.

L’Esistenzialismo europeo è la corrente filosofica che ha scientemente, tragicamente, fatto proprio il malessere, il disadattamento al vivere ed alla condizione umana [2].

Questa Kierkgaard Renaissance – come venne anche etichettato l’Esistenzialismo del Novecento, per la sua affinità con il pessimismo del filosofo danese – concepisce l’esistenza come antinomia tra essere e non-essere (cioè tra ente e ni-ente), con l’angoscia del nichilismo metafisico ad incombere sull’esistenza stessa.

Strumento per il superamento dell’angoscia del nulla è l’affrancazione  dalla impersonalità dell’esser-ci, la scelta di una esistenza autentica.

L’impersonalità dell’esser-ci di cui parla Heidegger altro non è che la inautenticità della società di massa che tutti omologa e asserva (al pensiero unico, ai comportamenti uniformati, ai gusti standardizzati ed ai bisogni indotti).

Autentico è l’uomo che sceglie di essere se stesso.

L’Esistenzialismo finisce con il costituire un modus sentiendi, un sentire comune capace di improntare di sé un epoca; ed abbraccia la molteplicità degli aspetti culturali del tempo.

In campo letterario l’angoscia esistenziale, quell’horror vacui di venatura nichilista caratterizza la poesia del nostro Ermetismo, come in Giuseppe Ungaretti [3] che – per vie, tempi, modalità diversi e del tutto accidentalmente casuali – ricorre al tema del naufragio [4] (quel “naufragar” già dolce al Leopardi) per esemplificare emblematicamente la condizione del vivere umano, proprio come accadrà in Jaspers.

E lo stesso può dirsi per certi componimenti di Eugenio Montale [5] o di Salvatore Quasimodo [6]. Come in un frammento di lirici greci, il poeta siciliano distilla, in appena tre versi, precarietà, solitudine ed angoscia del vivere.

Ognuno sta solo sul cuore della terra / trafitto da un raggio di sole / ed è subito sera [7].

Si osservi, in particolare, come qui il predicato verbale – nella proposizione principale – non sia essere ma stare, con un evidente richiamo all’ek-sistere caro ad Heidegger. L’allusione è allo “stare al di qua”, all’ente opposto al ni-ente.

In Francia, attorno alla personalità di Jean-Paul Sartre (che deve la sua notorietà anche a romanzi e pièces teatrali  di successo) ruotano non pochi degli intellettuali nella Parigi  esistenzialista di quei primi anni Cinquanta, da Simone de Beauvoir  ad Albert Camus, da Boris VianJean Anhouil.

grecoIN ALTO: Juliette Gréco a Parigi nel 1948

Ma anche il cinema [8] e la canzone francese d’autore del secondo dopoguerra subirono il fascino e l’influenza della scuola filosofica sartriana, sintetizzata nel fascino e nel magnetismo di una interprete del calibro di Juliette Gréco,  divenuta popolarissima come musa degli intellettuali ed icona della Parigi esistenzialista.

Persino il suo abbigliamento, ridotto all’essenzialità del nero e di pantaloni e maglia a collo alto, fu preso a modello dalla gioventù di mezza Europa.

R. Santoro – Roma 18 settembre 2018 

NOTE

[1] Cfr. Antonio Gramsci: Gli intellettuali e l’organizzazione della cultura in Quaderni del Carcere,  edizioni Einaudi (vol. III: quaderno 12, 1932), Torino 2001

[2] L’Esistenzialismo, più specificamente, si sdoppia in due fasi ed in due aree ben più distinte e definite: quella tedesca degli anni Venti-Trenta attorno ad Heidegger e Jaspers; quella francese degli anni Quaranta-Cinquanta tra l’esistenzialismo ateo di Jean Paul Sartre e lo spiritualismo esistenzialistico di Marcel

[3] Tra un fiore colto e l’altro donato/ l’inesprimibile nulla…

G.Ungaretti: da “Eterno” in Ultime (1914-1915), raccolte in L’allegria , Preda, Milano 1931

[4] E subito riprende /il viaggio /come /dopo il naufragio /un superstite / lupo di mare. G. Ungaretti: da “Allegria di naufragi” in Naufragi (1917) in op. cit.

[5] Forse un mattino andando in un’aria di vetro / arida, rivolgendomi vedrò compirsi il miracolo: / il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro / di me, con terrore di ubriaco…

E. Montale: da “Forse un mattino andando in un’aria di vetro” in Ossi di seppia, Gobetti, Torino1925

[6] … Io mi cresco un male / da vivo che  a mutare / ne soffre anche la carne.

S. Quasimodo: da “Io mi cresco un male” in Óboe sommerso, ediz. di Circoli, Genova 1932            

[7]  S. Quasimodo: da “Ed è subito sera” in Acque e terre , ediz. di Solaria, Firenze 1930

[8]  Si veda Les orgueilleux (Francia-Messico1953) per la regia di Yves Allegret. Su soggetto ispirato a Typhus, un racconto di Sartre del 1943, fu sceneggiato da J. Aurenche, J. Clouzot e P. Bost. Cfr. M. Morandini, Dizionario dei film 2005, ediz. Zanichelli, Bologna 2004, sub voce

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IN COPERTINA: Kierkgaard in un bozzetto di Christian O. Zeuten (1843)

 

1 Comment

  1. la modernità è assoluzione e quindi legittimazione di qualsiasi io “dio perdona tutto” dice francis il maestro delle elementari ma noi no. Come affermava pasolini il consumismo ha veramente modificato tutti e reso tutti uguali se non con poche eccezioni, cosa che non era riuscita a fare nessuna altra ideologia dal nazismo al comunismo. Ma l’accettazione di tutti gli io è dovuto alla religione cristiana che non ha niente a che fare con cristo ed è questo modo di pensare ad aver cancellato l’etica la giustizia e la meritocrazia regalandoci questo mondo di storpi alla rovescia governa tutto eliminando ogni forma di energia vitale e di possibile visione comune in direzione del miglioramento ….. gli ultimi sono i primi ed i primi ultimi il bello è che ci avevano avvisato ma forse l’olocausto che i gesuiti hanno perpetuato per 500 anni nei confronti dei diversi culturalmente ha fatto sopravvivere i peggiori a discapito dei migliori e quindi oggi i più preferiscono gli ultimi come primi solo perchè ci sono più ultimi che primi sopravissuti namaste

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