ALESSANDRIA CITTA’ DI FONDAZIONE

Il pittoresco e fortunato Romanzo di Alessandro, di età tarda, dello Pseudo-Callistene, narra con toni favolistici, talora inattendibili, vita ed imprese di Alessandro II di Macedonia[1]. Tra le curiosità più ghiotte vi si scrive (Rom. di Al., 1, 4-7) che vero padre di Alessandro non fu Filippo ma un re egiziano esperto in arti magiche, di nome Nectanebo, spodestato dai persiani e riparato in Macedonia, il quale riuscì a raggirare Olimpia, moglie del sovrano macedone, facendole credere che si sarebbe accoppiata con il dio Amon in persona e poté appartarsi con lei nelle sue stanze. Quella notte fu generato il futuro conquistatore.

Con il presupposto di questi natali, era fatale che il giovane Alessandro, una volta in Egitto, cercasse consenso alle proprie origini celesti.

Sin dal I-II sec. d.C. storici greci di età imperiale contribuiscono a costruirne la leggenda. Plutarco prima (Pl., V. parall., Aless., 27, 9), Arriano poi (Ar., Anabasi di Aless., 3, 3-5), raccontano che il biondo macedone volle recarsi sino all’oracolo di Amon, nel deserto libico, presso l’oasi oggi detta di Siwa. Qui fu salutato dai sacerdoti come figlio del dio ma, aggiunge Plutarco, fu solo l’equivoco nato dall’imperfetta conoscenza della lingua greca perché, anziché apostrofarlo affettuosamente “o paidion” (figlio), gli fu detto invece “o pai Diòs” (figlio di Zeus).

L’aneddoto della consacrazione di Alessandro si rivelò comunque utile per consolidare la vulgata presso gli egiziani di una sua discendenza divina e legittimarne l’ascesa al trono d’Egitto[2].

L’oasi di Siwa si trova nell’entroterra, quasi al confine con la Libia, e i resti dell’Ammonium, il tempio oracolare di Amon, sono stati individuati nei pressi del villaggio abbandonato di Aghourmi. Nel 1970 la costruzione è stata liberata dalle superfetazioni e nel 1999 una spedizione tedesca ne ha curato il restauro conservativo. Come visibile nella planimetria ripresa da satellite e nella prospettiva centrale ad altezza d’uomo (FIGG. 1, 2), dopo il cortile si susseguono due prime sale e in fondo, allineato con l’asse centrale, è il naòs, la cella dove il sacerdote consultava il responso del dio. Il tempio di età tarda, voluto da Amasi, il faraone “filelleno” della XXVI dinastia, risale al VI sec. a.C.

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FIGG. 1 – 2: Oasi di Siwa, santuario di Amon

E’ il 332 a.C. Nell’inverno di quello stesso anno Alessandro incarica l’architetto Deinokràtes di pianificare la fondazione di una nuova città, l’ennesima ad essere chiamata, in onore del sovrano, Alessandria. La città doveva sorgere sulla costa, perché è verso il mondo greco, i suoi traffici e la sua cultura, che essa sarebbe stata orientata. E proprio Alessandro, ammiratore di Omero, suggerì che fosse individuato il sito antistante l’isola di Faro menzionato nel IV canto dell’Odissea.

Alessandria, concepita alla testa del Paese, di fatto viene a trovarsi isolata da esso, compresa tra il litorale e il lago Mareotide, quasi fosse un lembo di grecità ritagliato in terra d’Egitto. Qui i colori del cielo, del mare, dei fiori e degli uliveti sono gli stessi delle isole egee ed il clima è quello dolce del Mediterraneo, con le arsure del deserto mitigate dalle brezze che spirano da nord. I suoi regnanti saranno più basileis (cioè re) che non faraoni, anche se nei templi che faranno costruire saranno raffigurati nelle fogge e nelle posture degli antichi sovrani, con le insegne reali della tradizione: doppia corona dell’Alto e del Basso Egitto; scettro ricurvo pastorale (heqa) e flagello (nekhekh). E faranno incidere nei cartigli i loro nomi greci in caratteri geroglifici (FIG. 3). Gli dei di questi santuari saranno una commistione sincretistica di miti ellenici e tradizioni locali, rappresentati, uno per tutti, da Serapide che diventerà il dio patrono della nuova colonia, fusione di Osiris-Api con le fattezze di Zeus ed emblema del popolo nuovo che andava generandosi (FIG. 4). Molti di questi re alessandrini, allevati da precettori greci, nemmeno appresero la lingua del luogo; il fatto che Cleopatra VII (la regina più nota sotto questo nome, l’incantatrice del Nilo che sedusse Cesare ed Antonio) potesse conversare correntemente in greco, latino ed egizio, è da considerarsi l’eccezione.

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FIG. 3: Cleopatra e Tolomeo Cesarione, tempio di Dendera

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FIG. 4: Serapide (P. Getty Museum, Malibu)

Deinokràtes fu il pianificatore del tracciato urbano della nuova città. I suoi contorni storici sono piuttosto confusi, incerto ne è addirittura il nome. Vitruvio lo chiama così e lo dice macedone (Vitr., De Architectura, II, pref., 1), mentre per Giulio Valerio è di Rodi (G. Val., Res gestae Alexandri Magni, I, 25). Plinio ne storpia il nome in Dinochares (Pl., Nat. Hist., V, 62).

Sembra sia stato lo stesso Alessandro a proporre la forma dell’impianto planimetrico della città, che ricorda una clamide aperta, il tipico mantello macedone indossato dal re. A Deinokràtes fu affiancato Kleomènes, proveniente da Naukratis sul Delta, dunque un greco d’Egitto, il quale ebbe le mansioni di sovrintendente all’esecuzione dei lavori.

Il luogo dove sorse la città di fondazione era occupato da un precedente agglomerato, con il nome egiziano di Raqote, un avamposto insediato dai faraoni a difesa dalle incursioni piratesche. Inglobato nel nascente nuovo centro urbano, ne diventerà un quartiere (Rhakotis), abitato per lo più dal popolo minuto e dalla gente del posto.

Nella fase iniziale, la capitale viene stabilita a Menfi e solo quando saranno completati i lavori di costruzione della reggia, Tolomeo I trasferisce il trono ad Alessandria. Qui viene traslata anche la tomba di Alessandro, morto a Babilonia, perché sua volontà era di avere sepoltura in Egitto ed era stato provvisoriamente tumulato a Menfi. Per il sovrano defunto sarà innalzato un grandioso mausoleo, detto Soma, proprio all’interno della cinta muraria, dove accanto al sarcofago d’oro del fondatore, troveranno posto anche le altre tombe della dinastia tolemaica.

Sarà Tolomeo II – e dopo di lui ognuno dei successori lagidi – ad abbellire la città con gli edifici più imponenti e maestosi, quelli che ne decreteranno la fama in tutto il Mediterraneo. Di lì a pochi decenni Alessandria diventa uno delle metropoli più visitate del mondo antico, un centro di potere e di cultura dove confluiscono gli intellettuali e gli artisti dell’Oriente ellenizzato, attirati dalla promozione delle arti e delle scienze incentivata dai Tolomei (la Biblioteca, il Museo, la scuola di Alessandria). Sarà perciò un fiorire di studi matematici e filosofici, di circoli letterari (da Teocrito a Callimaco, ad Apollonio Rodio) e occasione di attività per scultori, pittori, architetti.

Della città antica è sopravvissuto ben poco, vuoi per gli incendi e le devastazioni cui fu sottoposta nei secoli dagli invasori che si susseguirono, vuoi per i terremoti, vuoi per l’erosione del mare (parte della vecchia città si trova oramai sommersa). Ne è però rimasta una notevole mole di descrizioni fatta dagli scrittori greci del tempo, da Strabone (Str., Geogr., L. XVII, 8 ss.) a Diodoro Siculo (Diod. Bibl. Histor., L. XVII, 52, 4-5), da Appiano (Ap., De bellis civilibus, II, 89) a Plutarco (Pl., V. parall., Al., 26; Ant., 69), grazie ai quali è possibile ricostruire, quasi con dovizia di particolari, questa popolosa capitale del mondo antico (FIGG. 5, 6).

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FIGG. 5-6: mappe di Alessandria antica (G. Botti, 1898 – De Agostini, 1923)

Il forestiero che giungeva dal mare vedeva profilarsi da lontano la sagoma di un’altissima torre-lanterna (FIGG- 7-11) fatta erigere da Tolomeo II per illuminare la rotta ai naviganti. Sorgeva sull’isolotto di Faro dirimpetto alla città e sin da allora il toponimo è passato ad indicare, come sostantivo comune, tutte le analoghe costruzioni del Mediterraneo per le quali il faro di Alessandria fu prototipo e modello. Ne era stato artefice Sostrato di Knidos ed era concepito come una armoniosa sovrapposizioni di alti volumi, ciascuno a pianta diversa: quadrata quello alla base (con le pareti rastremate verso l’alto); ottagonale quello di mezzo; circolare quello apicale (cioè un solido cilindrico, sostenuto da colonne e aperto sui lati, dove ardeva il fuoco e per mezzo di scudi metallici ruotanti se ne proiettava la luce). In cima svettava una statua di bronzo dorato (non sappiamo se di Poseidone, Zeus Sotèr o Alessandro stesso).

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FIG. 7: Ricostruzione del faro di Alessandria (da Hermann Thiersch, Pharos, 1909)

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FIG. 8: il faro di Alessandria, mosaico romano-bizantino (VI sec. d.C.), Cirenaica, Museo di Qasr Libya

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FIG. 9: Mosaico bizantino, Basilica di S. Marco (Venezia)

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FIG. 10: il faro nella monetazione romana (dracma di Domiziano, verso)

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FIG. 11: medaglia di Commodo (verso)

 

Si è stimato che il faro potesse essere alto circa 120 metri. La sua costruzione dovette essere costosissima (Plinio parla di 800 talenti, una cifra esorbitante) e durò quasi vent’anni; sicché ad inaugurarlo sarà Tolomeo Filadelfo (attorno al 280 a.C.). Ben presto sarà annoverato tra le meraviglie architettoniche del mondo antico.

Una diga lunga 7 stadi, detto perciò Heptastadion (all’incirca 1.300 metri), collegava l’isola di Faro alla terraferma, dividendo la baia in due bacini portuali: il Porto Grande ad est; quello del Buon Ritorno (Eunostos) ad ovest.

Di fronte al Porto Grande prospettavano i palazzi del quartiere reale, un’area chiamata Bruchium (Pyroucheion). Ciascun nuovo regnante li avrebbe ampliati con qualche nuovo settore, articolandone l’impianto sino al promontorio di Lochiàs, e una piccola reggia fu costruita, forse proprio per Cleopatra, l’ultima dei Tolomei, sugli scogli di Antirrhodos, un isolotto al centro dell’insenatura. Anche Antonio, sprofondato in depressione dopo la disfatta di Azio (31 a.C.), volle farsi costruire una dimora appartata sul mare, collegata da un molo. Intenzionato a  restarvici in sdegnosa solitudine, la ribattezzò Timonium perché qui come Timone, il misantropo ateniese, avrebbe voluto trascorrere i suoi ultimi giorni.

Una ampia arteria longitudinale di 40 stadi, lungo l’asse est-ovest quasi parallelo alla linea costiera, attraversava la città per tutta la sua estensione (oltre 7 chilometri) entro le mura. Era detta via Canopica – dal nome, evocatore del mitico nocchiero di Menelao, dato al canale di collegamento fra il lago Mareotide e il Mediterraneo che percorreva la città – ed era tagliata perpendicolarmente, in corrispondenza dell’agorà centrale, da una via trasversale principale, seguita e preceduta da altre minori[3]. L’impianto veniva così ad avere un tessuto a maglia ortogonale, in conformità ai dettami urbanistici di Ippodamo di Mileto. Oltre le mura: lo spazio destinato alle necropoli.

E’ stata recentemente avanzata l’ipotesi, in uno studio di ricercatori del Politecnico milanese[4], che l’orientamento della via Canopica seguisse la direttrice inclinata della traiettoria solare al dì natale di Alessandro III di Macedonia[5] e si suppone, pertanto, che i fondatori dovettero avvalersi di astronomi egizi, la cui scienza nel ramo era assai più progredita.

Oltrepassata la porta di Canopo, detta anche Porta Solis, ad est a qualche miglio di distanza sulla strada costiera, Ottaviano Augusto volle costruire, nel luogo dove si era scontrato con Antonio, un nuovo acquartieramento cui fu dato il nome di Nikopolis, in ricordo della sua vittoria e dell’acquisto dell’Egitto ai domini di Roma.

Lungo le sontuose e trafficate strade di Alessandria[6] si affacciavano i grandi edifici: la Biblioteca, il Museo, il Ginnasio, il Serapeo, il mausoleo di Alessandro detto Soma, il tempio di Pan, il Caesareum fatto costruire da Cleopatra in onore del Romano. E tutt’intorno: ancora altri templi, teatri, ippodromi, esedre, i lussureggianti giardini che incantarono Strabone; ad est il quartiere ebraico, ad ovest Rhakotis con le case degli egiziani. A sud, al di là della cinta muraria, il lago Mareotide con le sontuose residenze dei ricchi alessandrini.

Al tempo di Diodoro Siculo la popolazione superava i trecentomila abitanti (Diod., Bibl. Histor., L. XVII, 52, 6), quando tutto l’Egitto ne contava sette milioni e mezzo (Flavio Giuseppe, Bell. Jud. L. II, 385).

torre-astura

Fig. 12: la reggia di Alessandria ricostruita a Torre Astura per il film Cleopatra (1963)

Di tutto ciò più nulla rimane: la grande Biblioteca di Alessandria, che già aveva subito le fiamme del fuoco appiccato dalle truppe di Giulio Cesare, fu definitivamente smantellata dal califfo Omar; il Faro è miseramente crollato per i terremoti; al resto ci ha pensato il tempo (FIG. 12).

E persino le ricerche archeologiche sono state avare di risultati e scarne sono le testimonianze: appena qualche colonna superstite, sfingi, statue, qualche ipogeo o sporadici rinvenimenti sottomarini.

Solo l’aura sopravvive e come un intenso, acuto profumo avvolge e permea di sé la memoria storica di questa città, perpetuandone il mito. Un alone immateriale e indefinibile, che vale ben più dei capitelli, delle sculture smozzicate o di quanto resta di una cavea romana.

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FIG. 13: Ipazia, part. Scuola di Atene (Raffaello, Musei Vaticani)

Come definire infatti se non seduzione spirituale, il fascino ancora emanato da un personaggio come Ipazia (FIG. 13), erudita in astronomia, matematica e filosofia, perfetta rappresentante della tarda cultura alessandrina? Strenuamente devota agli dei della tradizione, Ipazia sarà vittima dell’intolleranza dei cristiani, obbedienti al fanatismo del vescovo Cirillo e sarà trucidata nel 415 d.C., una data che segna la cesura tra due evi, il tramonto del mondo antico.

arch. Renato Santoro – Roma, febbraio 2016

LINK:

https://renatosantoro2015.wordpress.com/2015/04/03/passeggiate-alessandrine/

NOTE

[1] Senza fondamento attribuito a Callistene, contemporaneo del re macedone, secondo la critica moderna pare abbia preso forma nel III sec. d.C. dalla fusione di novelle ed epistole di età precedente. Per questo motivo si propende per la dicitura Pseudo-Callistene. Il romanzo ebbe una fortuna enorme: fu subito tradotto dal greco in latino, ebraico e persino in lingua araba e grazie ad esso, per tutto il Medio Evo, la figura di Alessandro Magno divenne mitica. E’ in corso la sua pubblicazione, in tre volumi, contenenti le versioni greca e latina, cfr. Il romanzo di Alessandro, a cura di R. Stoneman, traduzione di T. Gargiulo, Fondazione Lorenzo Valla, Milano 2012

[2] Il realtà il clero locale lo accolse come liberatore dalla più temuta minaccia persiana

[3] L’imperatore Adriano, sedotto dalla bellezza della città egiziana, ne volle riproporre uno scorcio nella sua celebre villa di Tivoli (II sec. d.C.), concepita come un’antologia architettonica dei luoghi che più lo avevano impressionato nel corso dei viaggi per le province del suo vasto impero. Il cosiddetto “Canopo” tiburtino riproduceva il corso d’acqua alessandrino, era circondato da statue e colonne e terminava con un ninfeo ispirato al tempio di Serapide

[4] Cfr. L. Ferro, G. Magli, The Astronomical Orientation of the Urban Plan of Alexandria, in “Oxford Journal of Archaeology”, vol. 31, issue 4, pp. 381-389, novembre 2012

[5] Plutarco racconta (Pl., V. parall., Al., 3,5) che il sovrano nacque il sesto giorno di Ecatombeone, mese del calendario attico corrispondente a quello di Loos del calendario macedone, coincidente con il primo giorno del segno zodiacale del Leone, l’ultima settimana di luglio

[6] F. Pesando, Alessandria, in Città sepolte, vol. II, Roma 1986

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